Fuck, bag Boule de Sac

Fuck: quando la rabbia diventa nostra alleata

 

Fuck.

 

Perchè abbiamo scelto questa parola, anzi questa parolaccia, a cui noi abbiamo dato il tocco dell’illustrazione e del tratto grafico per le borse della nuova collezione Bouledesac?

 

 

Perché è il termine che meglio esprime il concetto di rabbia e anche di una certa fierezza nell’affermare il nostro disappunto.

 

Di sicuro la rabbia è un sentimento sottovalutato e fin troppo vituperato.

 

E soprattutto a noi donne, insegnano a non manifestarla, a tenerla a bada, a ricondurla dentro binari accettabili, che troppo spesso sconfinano nell’accettazione e nel compromesso.

 

Fuck!

 

La rabbia a volte è necessaria per esprimere se stesse e volte anche per la sopravvivenza.

 

Pensate, addirittura le neuroscienze hanno dimostrato come quest’emozione contribuisca a favorire il cambiamento sociale, configurandosi quindi come un’emozione positiva ed utile per vincere le proprie fragilità e fare la differenza.

 

Perché, dunque, soffocarla?

 

Prendiamo ad esempio la storia di Alanis Morisette.

 

Ve la ricordate? Era il 1995, quando a soli 21 anni, con il brano “You oughta know”, vinceva il Grammy Award per la migliore canzone rock, svelando al mondo la sua incredibile voce.

 

Che non vanta solo una notevole estensione timbrica, ma riesce, come poche altre, a comunicare emozioni profonde.

 

In questo caso, un’incontenibile rabbia per la fine di una relazione.

 

Una rabbia urlata a pieni polmoni, che la cantante esprime utilizzando un linguaggio più che esplicito:

 

“It was a slap in the face how quickly I was replaced. Are you thinking of me when you fuck her?”.

 

Sì, perché la parola fuck, in inglese, assume diversi significati, ma ogni volta conserva un che di violento, di selvaggio, di ribelle.

La rocker, che in seguito ammetterà di aver sofferto di dipendenza affettiva, non si arrende, non ammutolisce nel dolore, ma decide di urlarlo al mondo.

 

Cosa che le è servita.

 

In una recente intervista, infatti, ammette che “a guardare indietro, molte canzoni che ho scritto erano un tentativo di capire quello che mi era successo e di guarire da una ferita“.

 

Fuck! Ci sono, esisto, rinasco!

 

E che dire di Angela Davis?

 

L’attuale docente di Storia della Coscienza, presso l’Università della California di Santa Cruz, nasce in Alabama, proprio negli anni in cui la segregazione razziale diventa terreno di scontro fra bianchi e neri.

 

Il quartiere in cui viveva la Davis era conosciuto come Dynamite Hill, perché in quegli anni le case dei neri venivano fatte saltare in aria dai razzisti bianchi, un giorno sì e uno no.

 

E non solo le case, perché tre amichette della futura attivista morirono in un attentato, questa volta compiuto ai danni di una chiesa.

Una volta trasferitasi a New York, dove fermentavano i germi del pensiero delle Black Panters, il passo fu obbligato.

 

Angela Davis aderì alla causa e si iscrisse al Patito Comunista, diventando un’attivista a tempo pieno.

 

In seguito, venne implicata in un’azione a mano armata delle Black Panters, che nel tentativo di liberare un loro compagno da un’aula di tribunale, si fecero arrestare dalla polizia con un’arma a lei intestata.

 

In tribunale si difese da sola e il suo processo divenne il palcoscenico planetario perfetto per urlare la rabbia, sua e dei suoi compagni, consentendole di diventare un’icona dell’attivismo politico nero e delle lotte per i diritti delle donne.

 

Fuck! Sono donna, sono nera e rivendico i miei diritti!

 

Di respiro meno globale, ma non per questo meno significativa, è la storia della ribellione di Felicia Impastato, madre del ben più celebre Peppino.

 

Sposata con Luigi, che negli anni del fascismo si era già fatto 3 anni di confino ad Ustica per contrabbando di generi alimentari e il cui cognato è il capomafia del paese, la donna prende man mano coscienza dell’ambiente in cui è finita, ma senza mai prendere posizione.

 

Il marito frequenta ambienti mafiosi, il cognato muore nella guerra di mafia con la cosca dei Greco e al suo posto arriva Gaetano Badalamenti, con il quale Luigi stringe rapporti di amicizia.

 

Peppino intanto è cresciuto.

 

Sono gli anni 70, il mondo giovanile è in rivolta e nel sud questa ribellione culturale non può che accompagnarsi ad una feroce denuncia del codice mafioso, del malaffare, della corruzione e della violenza.

 

La vita in famiglia diventa un inferno: Felicia assiste agli scontri fra il marito e il figlio e comincia a temere per la vita di Peppino, che grazie a una radio libera, diventa la voce irriverente di una gioventù che non ne vuole sapere di baciare le mani.

 

Durerà poco, perché il 9 maggio 1978 il figlio di Felicia viene ucciso proprio da quella mafia che voleva combattere.

 

La donna non ne può più e non ci sta.

 

Da quel momento, non passerà giorno senza che Felicia parli con magistrati e giornalisti, nella speranza di far condannare i responsabili dell’omicidio del figlio.

 

Una lotta che durerà a lungo, visto che solo nel 2002, dopo una vergognosa vicenda giudiziaria, Badalamenti viene condannato per la morte di Peppino Impastato.

Fuck! Avete ucciso mio figlio, non mi interessa che siate mafiosi: pretendo giustizia!

Sono solo tre storie prese a caso, ma tutte significative, tutte che dimostrano come la rabbia, opportunamente incanalata, possa restituire soddisfazione, dignità, libertà e giustizia.

 

Fuck sarà la tua scelta?