Kamala Harris, sogno e ambizione
Verrà ricordata per essere stata la prima vice presidente donna degli Stati Uniti.
Ma a noi piacerà ricordarla anche per quel video, quello in cui, in tuta da ginnastica e con i capelli in disordine come una qualsiasi donna di mezz’età che fa jogging nel parco, parla al telefono con Joe Biden, dichiarando sorridente e soddisfatta: “We did it, Joe!”.
Kamala Harris ce l’ha fatta. Joe Biden è diventato il 46° presidente degli Stati Uniti e lei la prima donna a ricoprire la carica di vice presidente.
E a conquistarsi più interviste e copertine del neo eletto Potus, l’acronimo usato dagli americani per definire il capo della Casa Bianca.
Ma non è il suo solo record, infatti oltre a essere la prima donna a rivestire una delle più alte cariche del suo paese, è anche la prima donna di colore a farlo.
Che nell’America di oggi, ancora attraversata da fiammate di un razzismo mai morto, non è poca cosa.
Kamala Harris, infatti, è figlia di madre indiana e padre giamaicano, che considerate le loro professioni, scienziata lei, economista lui, devono averle instillato la passione per lo studio.
E poi c’è tutta l’epopea del sogno americano, quello che rende possibile ogni traguardo, al di là della classe sociale, del colore della pelle, della religione, del sesso, bla bla bla.
E se sulla passione per lo studio possiamo solo ipotizzare, sul sogno americano non ci sono dubbi: lo ha ricordato la stessa Harris, nel suo primo discorso da vicepresidente.
Che questa storia del sogno americano non sia vera fino in fondo, lo sappiamo tutti, ma per Kamala Harris questo mito ha funzionato.
“Intendiamoci: l’American Dream non è una promessa gratuita o un’elargizione magnanima e compassionevole dello Stato, quanto la promessa che con impegno, dedizione, sacrificio ed ottimismo ogni essere umano può migliorare la propria condizione.”
(Amedeo Gasparini)
Laureata in scienze politiche ed economia alla Howard University (per capirci quella dove si laureò Thurgood Marshall, l’avvocato responsabile della storica sentenza del 1954 contro la segregazione razziale nelle scuole), l’attuale vice presidente americano vanta un passato di tutto rispetto nelle istituzioni del suo paese.
Vice procuratore distrettuale delle Contea di Alameda negli anni 90, nel 2003 diventa la prima procuratrice distrettuale di colore della California, accusando il suo avversario Hallinan, fra le altre cose, di essere troppo morbido con gli imputati accusati di violenza domestica.
Un chiaro segnale verso le donne, bianche e nere, che infatti arriva dritto al cuore dell’elettorato femminile.
Ma a lei non bastava, lei puntava in alto. Così nel 2016 vince la corsa per il Senato contro la sua compagna di partito Loretta Sanchez e diventa senatrice per la California.
La California…un territorio che vanta 40 milioni di abitanti!
Un po’ come vincere le elezioni di un qualsiasi stato europeo.
Un bel risultato, ma a quel punto Kamala Harris era ormai ben conosciuta dall’establishment e sostenuta da personaggi del calibro di Nancy Pelosi e Barack Obama.
La sua corsa non poteva fermarsi proprio in quel momento.
Quindi punta allo scranno più alto.
Inizialmente si candida proprio contro Joe Biden per la guida della Casa Bianca, ma a metà campagna presidenziale deve arrendersi e gettare la spugna.
Verrà ripescata qualche mese più tardi proprio dallo stesso Biden, che a quel punto la vuole come vice presidente.
Le ragioni?
Alcune oggettive, come la sua esperienza come procuratore distrettuale e un curriculum perfetto per ricoprire quella carica.
Altre funzionali a vincere le elezioni.
Il suo essere donna, infatti, risulta un elemento perfetto per avere il consenso dell’elettorato femminile, che da anni spinge per portare le donne a ricoprire cariche importanti.
Il suo essere di colore è utile a dare un chiaro segnale distensivo alla comunità nera, ancora scossa dai gravi fatti avvenuti in seguito all’omicidio di George Floyd.
E il suo essere una democratica dichiaratamente progressista, ma votata all’ordine e alla legalità come dimostrato dalla sua carriera come procuratore, rassicura l’elettorato moderato.
Insomma, una combo perfetta.
Anche per lei, ovviamente non mancano haters e detrattori.
Ha avuto la giusta istruzione, ha frequentato i salotti giusti e qualche volta si è avvantaggiata dal suo essere donna e nera, accusando i suoi detrattori di essere solo dei razzisti misogini.
Sì, tutto vero.
Ma basta a giustificare il successo ottenuto? Ovviamente no.
A questa donna va riconosciuto un impegno e una determinazione fuori dal comune, che seppur non siano condizioni sufficienti a diventare vice presidente degli Stati Uniti d’America, sono però necessarie per vincere competizioni agguerrite con personaggi di un certo calibro.
Come si diceva, un chiaro esempio di American Dream…
Kamala ha saputo aprire una porta, anzi un portone, per tutte le altre donne che verranno.
Perché commentando la sua nomina appena avvenuta, non ha potuto fare a meno di dichiarare:
“Sono la prima, ma non sarò l’ultima”