Primo maggio, la nostra idea e filosofia del lavoro.
In questi giorni ricorreva la Festa dei lavoratori e abbiamo colto lo spunto per fare una riflessione sul tema e su qual è la filosofia che ci guida alle soglie del terzo anno di vita di Boule de Sac.
Spoiler: l’otto maggio prossimo è il nostro compleanno!.
Da un punto di vista più generale, ci sembra di registrare una minore sacralità della giornata del primo maggio, basti pensare che le notizie in questi giorni ruotano intorno alle dichiarazioni di Fedez sul palco della manifestazione senza pubblico organizzata a Roma, al posto del classico concertone con bolgia di piazza San Giovanni.
Già da tempo si registra una disaffezione rispetto agli imponenti cortei tipici del secolo scorso, come se, a parte questi ultimi due anni con le limitazioni da lock-down, contasse di più l’organizzazione di scampagnate e pic-nic fuori porta.
Ma d’altronde, il mondo è cambiato e con le nuove professioni, con lavori sempre meno tutelati e garantiti e la crisi dei sindacati, oggi quasi nessuno crede più che il lavoro nobiliti l’uomo.
Non perché lavorare non sia più percepito come qualcosa di importante, fonte di autonomia, affermazione, benessere e perché no, posizione sociale, ma perché la maggior parte delle persone, purtroppo, fa lavori che non amano.
Parliamoci chiaro, sono pochissimi quelli a cui piace ciò che fanno.
Insomma, un tema in pieno corto circuito, tra quelli che il lavoro non ce l’hanno e quelli che ce l’hanno e che non sono soddisfatti.
Noi di Boule de Sac dopo varie esperienze lavorative, abbiamo deciso di metterci in gioco e creare qualcosa dal nulla.
E non perché siamo speciali, ma perché ci siamo ritagliati il nostro spazio in una nicchia che ci permette di esprimere la nostra creatività e i nostri valori, conservando tutta la nostra libertà, d’azione e di pensiero.
D’altronde il lavoro è parecchio cambiato negli ultimi decenni e sebbene la maggior parte dei lavoratori sia ancora legata all’ufficio, agli organigrammi, gli orari e gli scatti salariali, le nuove tecnologie hanno permesso l’avvento di nuove figure, che dalla scrittura al design, dalla fotografia all’informatica, hanno fatto della loro passione un mezzo di sussistenza e, soprattutto, di gratificazione.
Quello che ha fatto Boule de Sac.
Abbiamo preso un’idea, l’abbiamo coniugata con una filosofia green, abbiamo aggiunto messaggi e valori forti, l’abbiamo mixata (agitata, non mescolata…) con un tocco di sensibilità femminile et voilà, ecco un lavoro, e un prodotto che prima non c’era.
La tecnologia ha fatto il resto.
Sì, la tecnologia, perché siamo sinceri, senza Internet non ci sarebbe storia: schiere di copywriter, fumettisti, esperti SEO, designer, e piccoli imprenditori, solo per citare qualche categoria, oggi non avrebbero trovato spazio e retribuzione.
Purtroppo il mondo del lavoro, quel mondo che dal 1889 si festeggia, appunto, il primo maggio, non può più accogliere tutti e da promessa di benessere è diventato palude, in cui fra contratti precari, sfruttamento e mancanza di diritti, annaspano milioni di lavoratori, soprattutto giovani.
Ma, come dicevamo, a queste folte schiere sfuggono diverse figure che si sono sapute reinventare, per rincorrere il loro sogno di libertà e felicità.
Sai ad esempio, che in giapponese la parola crisi significa pericolo, ma anche opportunità?
Così per dire…
Libertà di lavorare, dicevamo, quando e dove vogliono, felicità di fare quel che fanno.
A questo proposito, famosa è una massima di Confucio:
“Scegli il lavoro che ami e non lavorerai neppure un giorno in tutta la tua vita”.
Se poi puoi farlo dove vuoi, è ancora più bello stimolante, gratificante e sì, il nomadismo digitale è un altro nostro faro.
E siamo ben felici che con lo smart-working dovuto alla pandemia, ci sia stato un ritorno ad esempio al sud di molti lavoratori che hanno abbandonato, a volte con molta gioia, le grandi metropoli del nord.
Si tratta di un cambiamento culturale e antropologico di cui vedremo meglio gli effetti alla fine della pandemia, ma indubbiamente qualcosa sta cambiando nella modalità di vivere il lavoro e il conseguente tempo libero.
Non apriamo qui il doloroso capitolo dell’aggravio di lavoro e fatica a carico della popolazione femminile, di sicuro qui in Italia, di questa era Covid.
Sapete come la pensiamo, ma al netto di questa problematica, l’idea di lavorare dove si vuole a noi affascina parecchio.
Il nomadismo digitale porta con sè un nuovo modo di concepire il lavoro, perché permette di sganciare l’attività lavorativa dal luogo e dagli orari.
E sebbene questo fatto non vada giù alla maggior parte degli imprenditori (italiani), ancora convinti che è dal controllo che esercitano sui dipendenti che dipenda il fatturato, la strada è ormai segnata.
D’altronde la stessa pandemia ce l’ha insegnato e un giorno, forse, questa sarà una cosa di cui la ringrazieremo.
Ha insegnato a frotte di imprenditori e dirigenti, fuori dal tempo, che lo smart-working funziona, che i lavoratori sono in fondo persone coscienziose e competenti e che, lasciate liberi di lavorare per obiettivi, rendono decisamente di più.
E se il lavoratore opera dalla spiaggia o in perfetta solitudine in cima a una montagna, poco conta.
Anzi, forse, un team disperso geograficamente può rappresentare un valore aggiunto.
Quindi, per chiudere, noi crediamo che nonostante la disattenzione e la disaffezione nei confronti di questa ricorrenza, la festa dei lavoratori sia comunque ancora un giorno da celebrare.
Perché se oggi possiamo godere di diritti, se da oggi possiamo aspirare a lavorare in modo creativo, libero e indipendente, se possiamo liberare le nostre idee, divulgare i nostri valori e in definitiva fare la differenza, in qualche modo lo dobbiamo anche a quei lavoratori in nome dei quali la festività è stata istituita.
Lavoratori che, nel lontano 1886, scioperarono a Chicago contro i loro datori di lavoro e che in seguito ai disordini in Piazza Haymarket, furono condannati a morte, benché innocenti.
Per questa ragione e in questo giorno, noi siamo e saremo sempre “Out of office”.
Per ricordarci che il meglio di noi stesse lo diamo quando siamo libere.
Da orari e ufficio, ma soprattutto da convenzioni, tendenze e omologazioni.