Il principe azzurro è morto, consigli per una relazione felice.
Fin da bambine gira nella nostra testa l’idea del principe azzurro, un’idea malsana, diciamocelo.
Molto.
E anche molto fuorviante, soprattutto per le aspettative che genera, prive di una base reale, diciamoci anche questo.
Negli anni poi, nessuno si prende la briga di insegnarci a rivedere realisticamente quel modello, nessuno ci insegna come si costruisce una relazione sana e felice.
Né a noi, né ai potenziali principi azzurri.
Se poi i nostri genitori erano lontani, a volte lontanissimi, da quei modelli romantici, il corto circuito mentale è servito.
Ecco quindi che, molto spesso, capita che anche la più entusiasmante delle relazioni volga in breve termine verso la sua inevitabile conclusione, soprattutto quando uno dei due partner, adotta comportamenti che in breve tempo avvelenano il rapporto di coppia, dando vita alla cosiddetta relazione tossica.
Quindi, come avere una relazione sana?
Innanzitutto evitando di cercarsi dei potenziali psicopatici e se stiamo ricalcando situazioni familiari già vissute, lavoriamoci su magari con l’aiuto di un buon terapeuta.
Quindi cerchiamo di evitare pericolosissimi narcisisti, gli eterni bambinoni, i mammoni, i traditori seriali, i bugiardi patologici, i prevaricatori e, ovviamente, quelli già impegnati.
Ognuno lo farà a modo suo, ma nessuno di questi soggetti vi permetterà mai di vivere un rapporto sereno, nel quale potervi esprimere in tutte le vostre potenzialità.
Ma, chiarite le tipologie dalle quali stare alla larga, passiamo alle dolenti note.
Inutile girarci intorno: anche con la persona più perfetta del mondo, non sarà possibile costruire una relazione felice, se non faremo in modo di mettere paletti, pretendere rispetto e smetterla di vestire i panni delle vittime.
Per prima cosa, è vietato abdicare alla propria indipendenza.
E se qualcuno tenterà di convincervi che: controllarvi, imporvi condotte o vietarvi di fare ciò che amate, è amore allo stato puro, fuggite il prima possibile.
Amare qualcuno significa volerlo vedere volare alto, lasciarlo libero di esprimere le sue potenzialità e vivere i propri sogni.
Tutto il resto è condizionamento, alienazione e, alla fin fine, sofferenza.
E poi c’è il rispetto.
Sembrerebbe un argomento scontato, invece non lo è.
Perché rispetto è una parola talmente vaga da comprendere una miriade di comportamenti, talvolta anche impercettibili, che fanno la differenza fra una relazione sana e una malata.
Quando si parla di rispetto, o meglio della sua mancanza, si pensa subito alla violenza, fisica o sessuale, ma il rispetto è ben altro.
Rispetto significa non svalutare, non criticare continuamente, accordare al partner tempo e modo per esprimere il suo disappunto, saper perdonare, avere il coraggio di ammettere i propri errori e comprendere il punto di vista dell’altro, senza abbandonarsi, ogni volta che c’è un disaccordo, in violenti litigi, nei quali riversare valanghe di rabbia incontrollata.
Insomma, c’è rispetto quando ci si sente a proprio agio nella relazione e non ci si sente né sottomesse, né umiliate, né violate nella propria personalità.
Ma attenzione: perché tutto ciò servirà a poco se non la smetteremo di fare le vittime.
Vestire i panni della vittima significa accettare passivamente la situazione, per poi lamentarsi con l’amica, la mamma o, inammissibile, con i figli.
Significa diventare complici del carnefice.
Se accettiamo il primo spintone, il primo divieto, la prima umiliazione, dobbiamo sapere che prima o poi il livello di violenza o maltrattamento potrebbe aumentare.
Possiamo decidere di perdonare o di fuggire, ma se rimaniamo, dobbiamo essere in grado di porre un limite oltre il quale non andare e di dirlo, a chiare lettere.
Non sarebbe una minaccia, ma un opportuno avvertimento.
Vivere in due non significa essere una persona sola.
E se da una parte, soprattutto per quelle di noi che sono mosse da una profonda empatia è, inevitabile provare sulla propria pelle le delusioni, i dolori e le frustrazioni dei propri compagni, è importante ricordare che non siamo loro.
Ciò che è loro è loro, ciò che è nostro è nostro.
Confondere le proprie emozioni con quelle dell’altro è il primo passo per finire nell’abisso di una relazione malata, nella quale la persona più problematica finirà sempre per trascinare nel baratro quella più sana.
Insomma, lasciamo perdere la sindrome della crocerossina, perché non solo non saremo di aiuto al partner, ma rischieremo di fare la sua stessa fine.
Qualunque essa sia.
Pronte ad uccidere il principe azzurro?