Ruth Bader Ginsburg, perchè è bene non dimenticarla.
Nella nostra collezione abbiamo voluto inserire la frase “When there’s a will there’s a way” perché crediamo nella volontà, quella volontà che fa sì che le cose accadano.
Una volontà ostinata, ma lucida, pragmatica, ma spinta dagli ideali.
Forse la stessa che ha animato la vita e la carriera di Ruth Bader Ginsburg, giudice della potentissima Corte Suprema statunitense, quando fin da giovane cominciò a sperimentare sulla propria pelle l’ostracismo con cui veniva accolta nel mondo accademico e nel lavoro.
Di sicuro sappiamo che ne capì immediatamente il motivo, che chiarì in un’intervista alla BBC, in cui a precisa domanda in merito, rispose: “Ero ebrea, ero donna, ero madre.”
Una consapevolezza che la spinse ben presto a diventare un’impegnata attivista e un giudice sensibile e presente, nonché una madre e una moglie.
Scomparsa all’età di 87 anni poche settimane fa, di Ruth Bader Ginsburg, conosciuta come Notorious RBG dal popolo americano, ci rimangono le sentenze che hanno rivoluzionato, soprattutto, la vita delle donne statunitensi.
Ma chi era Ruth Bader Ginsburg?
Oggi la sua immagine occhieggia dalle T-shirt indossate dagli studenti dei campus e la sua vita è stata persino raccontata dal film “Una giusta causa“, uscito nel 2018 (quante persone possono vantare una pellicola sulla loro esistenza, prima di morire?).
Ma quando questa donna si affacciò alla vita adulta, le cose andarono molto diversamente.
Dopo essersi sposata, a soli 22 anni si iscrisse alla facoltà di legge della rinomatissima Università di Harvard, dove su oltre cinquecento studenti di sesso maschile, lei era una delle sole nove donne ammesse.
Erano gli anni cinquanta e la cosa, all’epoca, non passava inosservata.
E probabilmente nemmeno accettata, visto che si ritrovò a doversi quasi giustificare davanti al preside di facoltà, che le chiese di spiegare perché mai avesse scelto quel tipo di studi, togliendo il posto a un uomo.
Arrabbiata, mortificata e con tanta voglia di rivincita, Ruth Bader Ginsburg si laureò a pieni voti e arrivò addirittura alla Corte Suprema, l’istituzione americana che decide ogni cosa.
Per capirci, è l’organo che decise che la schiavitù non era accettabile, che i bambini neri avevano il diritto di andare a scuola, che gli omosessuali devono potersi sposare, che l’uso della marijuana è legittimo, che le donne hanno il diritto di scegliere se abortire e che la sanità pubblica è indispensabile per la tutela della salute dei ceti più deboli.
Insomma, non un incarico di poco conto, ma Ruth trovò la strada per arrivarci.
E le sentenze che ha contribuito ad emanare, con la passione di quando era una semplice attivista per i diritti civili, sono ancora una spina nel fianco di chi pensava di poter continuare impunemente a discriminare donne, gay e lavoratrici.
Ma Ruth Bader Ginsburg è stata una femminista?
Sì e no. Ridurre le battaglie di Ginsburg a lotte femministe è, a nostro avviso, una semplificazione.
Ruth è stata molto di più.
Era una donna che credeva nell’uguaglianza fra le persone, indipendentemente dal loro sesso.
Certo, si occupò soprattutto di donne, ma solo perché queste erano ancora discriminate come nel secolo precedente, non certo per partito preso.
Non voleva affatto costruire un nuovo ordine al femminile, contrapposto all’universo maschile, quanto riaffermare un sacrosanto principio: quello che siamo tutti uguali di fronte alla legge.
Un principio sul quale ha cominciato a lavorare fin da quando operava nell’American Civil Liberties Union, un’associazione per la tutela dei diritti civili.
Un giorno ebbe un’illuminazione: per cancellare la discriminazione sessuale, perché non sfruttare il 14° emendamento della Costituzione Americana, quello che stabilisce che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge?
Messa così sembra l’uovo di Colombo, eppure non ci aveva mai pensato nessuno.
Da allora, quest’impostazione è stata alla base di tutto il suo lavoro successivo, prima come giudice presso la Corte di Appello di Columbia, poi presso la Corte Suprema degli Stati Uniti, alla quale arrivò nel 1993 grazie alla nomina di Bill Clinton.
Oggi l’America piange la scomparsa di questa donna austera e al tempo stesso irriverente, ma conserva il suo testamento politico, quello che rimane nelle numerose sentenze che ha firmato e per le quali si è battuta con le unghie e con i denti.
A noi piace ricordare le sue vittorie per il riconoscimento dei matrimoni gay, per la parità di trattamento salariale, per l’uguaglianza nei rapporti di forza all’interno del matrimonio e per tutte le altre battaglie di civiltà che hanno cambiato il quotidiano di tante americane e americani.
Ma soprattutto ci piace ricordare una sua affermazione, che tradisce la sicurezza di chi sa di stare dalla parte giusta:
“L’arco dell’universo morale è lungo, ma pende verso la giustizia”.
Così come ha fatto questa donna, che nonostante le discriminazioni non ha mai perso la rotta ed è riuscita, con la sola volontà, a diventare un’icona della lotta di genere, ma soprattutto un volto amato dal popolo americano.