Settembre e un’illogica allegria
Agosto 2018 è ormai alle spalle, settembre è più che inoltrato e il senso dell’estate è praticamente andato. Per mia fortuna, non sono stati mesi torridi e ci sono stati svariati giorni con due ore di pioggia pomeridiana tipo Scozia. Una benedizione.
Ebbene, tranquillizzata la mia insofferenza alle temperature da surriscaldamento climatico, nei primi giorni di settembre sono partite delle riflessioni random di bilancio estivo. La premessa è che è stata un’estate faticosa, fisicamente e psicologicamente (niente vacanze, Boule de Sac in fase di lancio, un anziano genitore di cui prendersi cura, alcune delusioni affettive, etc, etc), ma ci sono state alcune conquiste interiori di cui ho consapevolezza solo ora: prima di tutto ho sperimentato senza troppa ribellione o vero e proprio rifiuto, la resilienza. Lo so è una parola fastidiosa e abusata, quasi quanto “storytelling”, ma è perfettamente calzante al concetto che voglio esprimere. Quindi, in altre parole: me la sono fatta andare bene, mi sono concentrata sulle cose buone che ci sono state (nuove idee per Boule de Sac, una minore ingenuità nei rapporti, una casa immersa in una natura meravigliosa, momenti belli con l’anziano padre, etc, etc) e ne ho ricavato forza e nuove consapevolezze. Insomma mi sono autoispirata.
Non male, no?
Ho dedicato più tempo, più del solito, alla lettura, ho studiato e ho imparato cose nuove per aumentare le mie competenze.
E poi, ieri, ad un certo punto, mi sono ritrovata a canticchiare per casa, con una voce dentro di me che mi diceva: “Ma cosa ti canti? Non ne hai motivo, visto che ci sono stati giorni e settimane da dimenticare”.
Ma io ho continuato imperterrita.
È stato un momento di profonda, irrefrenabile, illogica, allegria. Sì, come cantava Gaber (se non sai chi è guarda qui).
“… io sto bene, sto bene come uno che si sogna…
come se improvvisamente mi fossi preso il diritto di vivere il presente…”
Ero meravigliosamente dentro il presente.
Non è stata un’esperienza per me sconosciuta, ma era da un po’ di tempo che non mi ricapitava. La prima volta, circa dieci anni fa, fu quella più sorprendente. Decisi di mettere in pratica un suggerimento di un guru della crescita personale, nel momento più difficile della mia vita: “la prossima volta, piangi di commozione e gioia, decidilo”. E così mi ritrovai qualche settimana dopo a piangere calde lacrime, da sola, seduta su un tram, a Torino, vedendo un meraviglioso tramonto sul parco del Valentino, grata di essere lì a godermi quel momento, senza un vero perché. Incredula di fronte a un obiettivo raggiunto senza troppo pensare. Parafrasando Gaber, era bastato un niente, forse un piccolo bagliore, un’aria già vissuta, un paesaggio.
Che ne so.
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